Nel “The inclusive growth and development report 2015”, presentato lo scorso mese di ottobre dal World Economic Forum (Wef), l’Italia appare un paese con un elevato livello di corruzione e di scarsa etica in politica e negli affari. Il quadro che ne esce è certamente mortificante ed ha il primo effetto di mettere in dubbio l’efficacia degli strumenti finora previsti per combattere la corruzione. Ad aumentare il senso di impotenza di fronte al fenomeno corruttivo, che sembra aver colpito il nostro Paese, va segnalato, che il rapporto citato non è che l’ultimo di una lunga fila, che vede, tra i tanti, quello di Transparency International e della Banca Mondiale (tanto per citare solo i più recenti).
Ai nostri fini, ciò che interessa rappresentare e che i rapporti che appicciano l’etichetta al nostro di paese corrotto, non sono neutrali per l’economia, ma diventano strumenti a disposizione dei grandi fondi d’investimento per orientare gli impieghi del denaro. Una precisazione tuttavia è d’obbligo. Nella corruzione il soggetto leso non è una delle due parti dello scambio, ma il contribuente, costretto a pagare di più per un servizio, un appalto o, più in generale, per finanziare una pubblica amministrazione inefficiente, a differenza di altri reati nei quali una delle parti coinvolte direttamente è il soggetto leso. Ciò determina che il corrotto e il corruttore non hanno alcun interesse o incentivo alla denuncia e che, il legame tra corrotto e corruttore è stabile. Nella sostanza la corruzione è un fenomeno sotterraneo che sfugge alle statistiche e che eventualmente emerge solo nella misura in cui è repressa giungendo all’attenzione dei tribunali.
I dati elaborati nei rapporti citati, pertanto, evidenziano (e calcolano) la percezione che gli operatori economici ed i cittadini hanno del fenomeno corruttivo. Ma la sostanza non cambia, essendo le conseguenze ben riconoscibili. Il primo effetto della percezione di un’elevata corruzione è quello di allontanare gli investimenti stranieri, perché la stessa diventa fattore d’incertezza sui tempi di risposta della burocrazia, di fatto equiparabile ad una tassa occulta sul capitale investito. Soltanto gli imprenditori con minori scrupoli sono disposti ad impegnare ugualmente i propri capitali in paesi ad alto rischio di tangenti. La corruzione, inoltre, riduce la competitività: solo gli imprenditori che portano in dote l’amicizia, la disponibilità a pagare, l’essere in confidenza con politici e funzionari restano nel mercato. Le reti della corruzione, che si alimentano di questi legami di complicità, definiscono sempre più rigidamente le relazioni e gli interlocutori ammissibili, escludendo e relegando al margine gli altri.
Corruzione, diffusa ed incerta applicazione del diritto possono trasformare l’illecito in scelta competitiva vincente. Se questo accade, la vera concorrenza si realizza su un terreno parallelo, quello dell’illegalità: il mercato inquinato dalla corruzione, premia chi è meno propenso al rispetto delle leggi ed esalta l’abilità nel maneggiare tangenti. Ma la corruzione ha anche una conseguenza diretta sulle tasche dei cittadini. Il differenziale tra il prezzo finale di opere pubbliche e forniture ed il loro valore di mercato generato dalla corruzione, fornisce una diretta rappresentazione contabile di questa voce di costo che grava sui bilanci dello Stato. Di conseguenza, l’extra-costo della corruzione viene anche addebitato direttamente ai cittadini.
La repressione Il fenomeno corruttivo è, nostro paese, tradizionalmente in mano ai giudici penali e, su alcuni aspetti, anche civili, alla Corte dei conti, ed ai tribunali amministrativi. L’opacità del fenomeno corruttivo necessita (e giustifica), altresì, l’adozione di una serie di misure preventive astrattamente idonee ad evitare il sorgere di quella complicità tra il funzionario pubblico e l’impresa e/o il cittadino, tipica del fenomeno. In tempi recenti si è intensificata anche l’adozione di misure preventive del reato
Tuttavia, per reprimere efficacemente il reato di corruzione è necessario comprendere ed analizzare le sue determinanti.
La teoria economica ha evidenziato come il fenomeno cresce all’intensificarsi dei controlli pubblici sulle attività private, all’aumentare della discrezionalità amministrativa ed all’indebolirsi dei controlli ex post. Le cause della corruzione sono da ricercarsi certamente in una legislazione sovrabbondante ed incomprensibile, anche agli addetti ai lavori, in una pubblica amministrazione male organizzata e con procedure ancora complicate nonostante gli sforzi per consentirne la semplifica-zione, e con controlli carenti, nel lobbismo e nella forte disoccupazione.
Non sono pochi, tuttavia, gli economisti che ritengono che causa della corruzione sia l’assenza di concorrenza in ancora troppi settori della nostra vita economica, e che la chiave vada trovata nella liberalizzazione dei mercati, oltre che naturalmente, nell’introduzione di automatismi nell’erogazione dei sussidi o nei processi autorizzatori.
La questione non ci convince del tutto. Non c’è dubbio, infatti, che aprire al mercato aiuti ad avere una chiara esposizione dei costi e dei prezzi dei servizi offerti dalla P.A., ma, non si può negare che la lievitazione dei prezzi in molti appalti sia frutto dell’assenza di controlli sugli stati d’avanzamento opere e sui meccanismi di subappalto; ovvero, in generale, la moltiplicazione dei costi avviene in fase di compimento delle opere, dove le perizie tecniche la fanno da padrone.
Qual è allora la soluzione, la chiave di volta?
Forse occorre ripensare ad un nuovo modello di responsabilità nell’amministrazione della cosa pubblica strettamente connessa ai risultati, ovvero, ad un’analisi cioè di costi e benefici che vincoli l’amministrazione non tanto a seguire procedure codificate, ma a perseguire il massimo risultato per la collettività al costo minimo.
Peraltro, la certezza e la rapidità della punizione è il primo fattore dirimente.
Quanto alla certezza, i dati sullo stato dei procedimenti penali raccontano che nel 2013 sono stati ben 4,5 milioni le indagini avviate. Di queste, 950mila erano contro ignoti e raramente sono sfociati in un dibattimento, ma ugualmente vanno contati per sforzo e costo che rappresentano. Se poi si va a guardare ai circa 3,5 milioni di processi con imputati noti, si scopre che il 17% dei procedimenti ancora in fase d’indagine preliminare ha oltre 2 anni; come il 6,8% che pende davanti al gip, il 20% davanti a un giudice monocratico o il 27,9% dei processi con rito collegiale. Peggio le cose vanno in appello.
Stando ai dati del ministero, si stima che in appello siano 266.475 i processi arretrati. Di questi, la metà (137.153 processi) sono concentrati in 5 sedi: Napoli (49.037), Roma (34.133), Torino (22.293), Bologna (17.302) e Venezia (14.388). Quanto agli uffici di Tribunale ordinario, alla data del 31 dicembre 2013, erano 1.314.511 i processi pendenti di primo grado, il 29% dei quali concentrato in soli dieci Tribunali (Napoli, Santa Maria Capua Vetere, Roma, Latina, Bologna, Milano, Velletri, Perugia, Taranto). In particolare, una particolare criticità contraddistingue il processo civile che arriva generalmente a conclusione quando le parti non hanno più interesse alla decisione.
Secondo uno studio dell’OCSE del 18 giugno 2013 per il primo grado di giudizio sono necessari circa 600 giorni, per il secondo circa 1.100 giorni e per il giudizio in cassazione circa 1.200. In conclusione, un processo in Italia dura circa 2.900 giorni (ossia poco meno di 8 anni) contro 1 anno e 3 mesi della Svizzera. Con l’avvio del processo telematico, i dati sembrano in leggero miglioramento.
Tuttavia, la corruzione è prevalentemente un problema politico connesso alla presenza di istituzioni politiche vulnerabili ed a procedure e salvaguardie meno solide, e che in un paese ad economia avanzata come l’Italia, destano maggiore preoccupazione proprio perché sviluppano nei cittadini un forte cinismo rispetto ai veri interessi dei rappresentanti politici e una profonda sfiducia nelle istituzioni. Per cui lotta alla corruzione deve significare, in primo luogo, restituire fiducia ai cittadini nel funzionamento della macchina dello Stato.