L’IMPORTANZA DELLE REGOLE PER IL FUNZIONAMENTO DEL LIBERO MERCATO

Enea Franza, direttore del dipartimento di scienze politiche di Unipace-O.N.U., delegazione di Roma della Università delle Nazioni Unite UniPeace.

Redazione
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Nel nostro bel Paese si registrano oltre 6mila reati al giorno. Un numero a ben vedere impressionante, se non fosse che, a complicare il quadro, si registra anche tra i cittadini una diffusissima sensazione che il colpevole (nei fatti) non verrà punito. La combinazione delle due cose dovrebbe indurre a riflettere sia chi si voglia candidare al governo di questo Paese sia chi si appresti a votare. In effetti il problema posto non è così secondario e, soprattutto, come meglio vedremo non limita la sua nefasta efficacia al campo della sola giustizia.

Il libero mercato, infatti, si regge su tre istituzioni fondamentali: la proprietà privata piena ed inviolabile, la libertà di iniziativa economica, e la c.d. “low of rule”, ovvero, il principio di legalità e di primato della legge. Allo Stato, in definitiva ed in linea assolutamente astratta, può essere lasciato il mero compito di assicurare che non venga violato quanto previsto nei contratti tra privati e di quando deciso dal legislatore, per una ordinata e pacifica convivenza. 

L’assenza di queste “regole” ha due effetti fortemente distorsivi: è causa del mancato sviluppo del mercato e spinge l’attività economica verso il sommerso. Ma se il primo ed il secondo principio sono oramai di generale e acquisita conoscenza, fatica ancora a comprendersi il principio della rule of law, in quanto al contrario appare idea condivisa che il “mercato” possa ben essere una sorta di far west e (addirittura) che lasciare liberi gli “spiriti animali” sia la miglior medicina, per lo sviluppo dei commerci e degli affari. 

In realtà nulla c’è di più falso. L’assenza di regole porta ad un mercato oligopolistico se non addirittura monopolistico, dove finisce per primeggiare un solo soggetto economico che in quando dominus ha effetti nefasti, come anche la più datata teoria economica insegna, e questo (per giunta) apre la strada ad un sistema politico fortemente antidemocratico.

Cos’è, allora, esattamente la rule of law e in che modo essa va interpretata o, in altri termini, quali sono le regole “giuste”?  

In primo luogo, nella sostanza la rule of law prevede un generale principio di legalità, per cui gli individui sono liberi e soggetti solo alla legge, la quale ha il fine minimale di evitare che l’uso delle libertà individuali venga fatto a scapito di quelle altrui e che l’inosservanza della legge non venga punita. Si tratta, in altre parole di assicurare il principio del primato della legge, ovvero, che chiunque rivesta un potere, esso stesso, sia soggetto alla legge. 

Quanto al secondo aspetto ricordiamo che la stessa teoria economica ha individuato non pochi limiti alla mano invisibile. Innanzitutto, non tutti i beni possono essere comprati e venduti. Tale solo fatto rende, di per sé, evidentemente necessaria una regolamentazione esterna al mercato, che ne stabilisca il valore nella gerarchia delle norme. Vi sono poi degli effetti non voluti su soggetti estranei al rapporto contrattuale (le c.d. esternalità) che, tuttavia, richiedo un intervento almeno risarcitorio per gli effetti indesiderati nel caso di esternalità negative, ovvero, dei premi compensativi alle parti in contratto. Inoltre, la libera iniziativa potrebbe non investire (o sotto investire) in attività che generano ritorni per la collettività, ovvero, addirittura non essere interessata allo sviluppo di alcuni mercati perché sarebbe troppo rischioso investirvi, anche quando gli investimenti fatti permetterebbero di creare ingente plusvalore. 

C’è poi un discorso importante da fare e spesso dimenticato dai più. La libera iniziativa genera efficienza ma non equità distributiva, anzi è dimostrato che in mancanza di correttivi, tende a perpetuare ed amplificare le diseguaglianze. Una società diseguale alla fine colpisce anche lo sviluppo della società stessa, il che, detto in altri termini, vuol dire che il mercato permette ad alcuni di approfittare della posizione di debolezza di altri finendo per impoverire se stesso.

Di fronte ai ricordati fallimenti del mercato viene semplice invocare la presenza di regole nell’economia e di istituzioni capaci di produrre le giuste regole e di gestirle, istituzioni che fanno comunque capo allo Stato.  Tuttavia, vale la pena ricordare che anche lo Stato non è immune da fallimenti. Innanzitutto, il bene comune non è definibile a priori, essendo esso stesso spiegato solo attraverso il procedimento politico, a sua volta per sua natura imperfetto. La decisione politica, infatti, è distorta sia nei regimi oligarchici che in quelli democratici dagli interessi particolari di cui la corruzione, le pressioni lobbistiche ed il voto di scambio costituiscono solo alcune delle evidenze più note. 

C’è, inoltre, un problema legato all’efficacia dell’intervento pubblico.  La domanda di beni pubblici, infatti, dovrebbe essere rilevata in modo sincero durante il voto. E’ cosa nota, invece, che anche il meccanismo elettorale determina dubbi ed incertezze, anche in presenza di un risultato elettorale chiaro, in termini di voti espressi su una forza politica. 

Per altro verso, ammesso pure che il partito risultato egemone abbia chiarezza sugli obiettivi da perseguire, gli studi condotti hanno dimostrato, che gli individui possono imparare ad adattarsi alla presenza dello Stato anticipandone le mosse ed adottando le opportune contromosse, rendendo in definitiva non efficace l’azione pubblica. 

Dunque, il problema si sposta a quello di stabilire, in primo luogo, quali siano le regole giuste e quali, invece, le regole sbagliate e poi su come farle rispettare.  Le regole “giuste” si formano in un lento processo, che prevede le fasi di prova ed errore. In questo processo devono, tuttavia, essere tenute bene a mente due principi fondamentali: le regole vanno fondate sull’interazione tra chi fa le regole, chi le deve rispettare (in particolare, i cittadini e le imprese) ed anche tra chi deve fare applicare. Se manca anche uno solo dei passaggi sopra riportati, la regola di per se non è una buona regola.  Il circuito tra chi fa le regole, chi è tenuto a rispettarle, e chi è obbligato a vigilarle costituisce l’essenza (a mio modo di vedere) del corretto funzionamento tra cittadino e le istituzioni e, tra queste, lo Stato. 

Inoltre, per la corretta valutazione delle regole è imprescindibile che venga assicurato il rispetto delle stesse. Solo allora, infatti, si potrà valutare se le regole date funzionano o vanno cambiate. Infatti, se manca la prova resta solo l’errore ed il mancato rispetto delle regole genera l’aspettativa che queste non saranno mai rispettate.  

Ma perché succede questo? Nel 1969, presso l’Università di Stanford (USA), il professor Philip Zimbardo ha condotto un esperimento di psicologia sociale. Lasciò due automobili identiche, la stessa marca, modello e colore, una abbandonata nel Bronx, quindi una zona povera e problematica di New York, l’altra a Palo Alto, una zona ricca e tranquilla della California.  Si è scoperto che l’automobile abbandonata nel Bronx ha cominciato ad essere smantellato in poche ore. Ha perso le ruote, il motore, specchi, la radio, ecc. Tutti i materiali che potevano essere utilizzati sono stati presi, e quelli non utilizzabili sono stati distrutti. Dall’altra parte, l’automobile abbandonata a Palo Alto è rimasta intatta. È comune attribuire le cause del crimine alla povertà. Tuttavia, l’esperimento in questione non finì lì: quando la vettura abbandonata nel Bronx fu demolita e quella a Palo Alto dopo una settimana era ancora illesa, i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto, California. Il risultato fu che scoppiò lo stesso processo, come nel Bronx di New York: furto, violenza e vandalismo ridussero il veicolo nello stesso stato come era accaduto nel Bronx. Perché il vetro rotto in una macchina abbandonata in un quartiere presumibilmente sicuro è in grado di provocare un processo criminale? Non è, evidentemente, la povertà ma qualcosa di altro. Un vetro rotto in un’auto abbandonata trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse, di non curanza, sensazioni di rottura dei codici di convivenza, di assenza di norme, di regole, che tutto è inutile. In esperimenti successivi James q. Wilson e George Kelling hanno sviluppato la teoria delle finestre rotte, con la stessa conclusione da un punto di vista criminologico, che la criminalità è più alta nelle aree dove l’incuria, la sporcizia, il disordine e l’abuso sono più alti. 

Nella sostanza, quindi, le regole ed il rispetto di quest’ultime sono alla base del corretto funzionamento del mercato, secondo la logica che se tutti le rispettano si alimenta la fiducia reciproca ed i meccanismi d’informazione che riducono o eliminano i costi di transazione.  

Ma, attenzione, siamo di fronte ad un meccanismo il cui equilibrio è estremamente precario e che necessita della pena certa per chi eventualmente volesse infrangerle. Infatti, è vero che, in un contesto in cui tutti si trovino a rispettare le regole date, il primo che non le rispettasse si troverà a massimizzare il suo pay off, generando – per via della competizione tra soggetti – il non rispetto comune delle regole.

Bene alla vigilia dell’insediamento del nuovo Parlamento nazionale e del nuovo Governo,  mi permetto queste brevi riflessioni a che dentro o fuori della stanze del potere voglia operare per la crescita equilibrate del Paese ed evitare gli orrori economici di questi ultimi decenni.

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